MA L’ARTE PUÒ ESSERE EFFIMERA?

Da gennaio a marzo la vita culturale di Bologna – e di conseguenza quella nazionale – è stata animata dalla discussione sullo statuto delle opere di street art. Si possono rimuovere? Conservare? Musealizzare? Di chi sono i diritti? La questione è complessa e non intendo minimamente entrarci.

      Qui vorrei solo riaffermare un’idea che è stata ovvia per secoli e in fondo continua a esserlo: è possibile un’arte effimera che rimanga vera arte. Occorre ricordare alcuni esempi del passato. Per la canonizzazione di san Carlo Borromeo il 1 novembre 1610, sotto la regia di Giovan Battista Crespi detto il Cerano, a Milano, e di Antonio Tempesta, a Roma, vennero innalzati monumenti e architetture temporanee, installati arredi urbani, fabbricati grandi stendardi, dipinti tanti e tanti quadri. Dentro alla Basilica di San Pietro, ancora in costruzione, si fabbricò un’enorme macchina o teatro con tanto di facciata, una vera chiesa nella chiesa con ben trentanove dipinti monocromi sulla vita e i miracoli del santo. Che cosa è rimasto di tutto quello? Il Bernini era maestro in questa decorazione monumentale e smontabile. E ancora oggi, se fate un viaggio a Siviglia in una delle molte feste religiose e civili a un tempo, v’imbatterete in installazioni del genere, nuove ogni anno, affidate a dei veri artisti. A Valencia, per la festa di San Giuseppe, ogni quartiere fa costruire un grosso monumento di cartapesta alto decine di metri, dal tono ironico non tanto diverso da molta arte contemporanea. E la notte di San Giuseppe… si bruciano. Ma possiamo parlare delle scenografie teatrali, a volte affidate a grandi artisti.

      A Roma si attende la grande opera di William Kentridge: sulle mura degli argini del Tevere disegnerà una delle sue sfilate di sagome, stavolta prodotta con la semplice rimozione dello sporco. Un lavoro che nasce effimero per natura. E che cosa faremo? Staccheremo le pietre per portarle al Maxxi? Le chiuderemo in un’immensa teca? Non diciamo sciocchezze. Eppure qualcuno potrebbe veramente fare un calcolo, neanche tanto ipotetico, del valore di mercato che un’opera del genere potrebbe avere e avviare in qualche modo la macchina conservativa.

      A ben vedere gran parte delle installazioni, specialmente le conclamate site specific, appartengono alla categoria dell’effimero. E va benissimo così. Solo che siamo un po’ troppo presi dall’amore per la «conserva». Il comico francese Luois de Founès girò nel 1968 un fil intotolato Le tatoué, la storia di un signore che aveva sulla schiena un tatuaggio fatto da Modigliani e di un collezionista che le tentava tutte per strappargli la pelle. La comicità era tutta nell’assurdità della pretesa. Ci si può riflettere.

Michele Dolz